da La Nuova Sardegna, 7 gennaio 2013
Corsa al business delle biomasse. Tra speculazioni e rischi ambientali crescono su scala regionale scommesse azzardate in agricoltura. (Pier Giorgio Pinna)
SASSARI. Come nel Far West. O quasi. La caccia ai contributi per le fonti rinnovabili ha visto un rush finale con la conclusione dell’anno. Ma in Sardegna continuerà. Almeno nei prossimi mesi. E per una semplice ragione: l’investimento nelle biomasse in agricoltura presenta benefici certi per chi utilizza i finanziamenti statali, che alla fine di tutto coprono una consistente parte dei progetti. La vendita dell’energia è garantita a prezzi di particolare favore. Molto meno sicura è invece la ricaduta positiva per l’ambiente e per le realtà circostanti. Nella corsa per costruire gli impianti o per accaparrarsi gli stabilimenti già realizzati restano infatti parecchi interrogativi. Legati soprattutto al fatto che gli specialisti considerano le risorse da impiegare come materia prima del tutto insufficienti a coprire le necessità di un sistema che a regime dovrebbe sviluppare 444 megawatt, pari a oltre un terzo degli attuali consumi medi di energia nell’isola. L’ex ministro. Non è dunque un caso che stiano sorgendo come funghi stabilimenti per le biomasse. Come non lo è che in più di una circostanza il ventilato mancato rispetto di norme a tutela del territorio e dei suoi beni abbia attirato l’attenzione della magistratura. Con sequestri di strutture, successivi dissequestri, indagini, verifiche, ispezioni. Del resto questi controlli sono il minimo da garantire in un quadro che si muove a velocità vertiginosa, spesso senza che tutte le assicurazioni generali siano osservate. Un discorso che, unito a considerazioni più complessive, alimenta il dibattito attorno a queste particolari fonti rinnovabili. Dice l’ex ministro per le Politiche agricole Paolo De Castro, che conosce bene l’isola anche per aver insegnato all’università di Sassari: «L’eccesso d’impianti a biomasse è negativo. Genera un preoccupante spiazzamento del settore alimentare rispetto alla produzione di energia. Per capirlo basta pensare a come l’aumento della coltivazione di vegetali riservati a questo solo scopo privi il territorio di produzioni zootecniche destinate all’uomo». Il docente introduce comunque una distinzione. «Esiste un problema di dimensioni, da valutare progetto per progetto – rileva – Ma se si deve produrre esclusivamente per una centrale a biomasse, la questione non può che essere vista in maniera negativa. È proprio l’uso dei residui industriali di sanse, potature, barbabietole, pomodori a generare quell’effetto di spiazzamento rispetto al food». Diverso invece il discorso sulle biomasse vegetali: «Perché in questo caso – afferma De Castro – si possono raggiungere corrette integrazioni del reddito agricolo, autoalimentate dal punto di vista energetico». Chance. Non cessa comunque la gara per fare incetta di tutte le opportunità. Si parla perlopiù di vantaggi statali: a livello regionale si prevedono stanziamenti a fondo perduto solo in una cornice più ampia. Tecnici ed esperti valutano diversamente le megacentrali come quella che dovrebbe sorgere a supporto della chimica verde a Porto Torres, l’altra mai decollata a Buddusò per l’opposizione popolare, e i tantissimi impianti sotto 1 megawatt, di piccole o medie dimensioni, strettamente connessi al lavoro nelle campagne. In tutti i casi gli ambientalisti, gli indipendentisti, molti esponenti del centrosinistra continuano a lanciare Sos per l’ambiente. Insieme con allarmi per la non sostenibilità ecologica di parecchi progetti e la scarsa produttività di sistemi che a lungo andare vengono giudicati incapaci di funzionare con materie prime dirette. Oltre a speculazioni da parte di chi non è inserito nell’agro-zootecnia e usa i fondi pubblici per ricavarne altri da un surplus energetico del quale non si sa quanto l’isola abbia davvero bisogno. Le attese. «Ho seguito le discussioni sull’argomento e sono abbastanza scettico – sostiene il consigliere regionale del Pd Luigi Lotto – Se guardo in modo positivo alla chimica verde, per esempio, non sono altrettanto sicuro dell’utilità di una centrale a biomasse come quella ipotizzata a Porto Torres». «E per quel che poi concerne l’agricoltura ho parecchi dubbi sul fatto che per alimentare gli impianti si ricorrerà alle sole terre marginali e non si invaderanno invece superfici fertili – rimarca Lotto – La mia pregiudiziale è che nell’agrozootecnia chi produce deve avere un reddito di per sé dignitoso, un’attività che remunera da sola. In questo caso si rischia invece di non avere materie prime a costi decenti per alimentare gli impianti».
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«Ma noi creiamo cicli virtuosi». Diversi imprenditori hanno avviato attività con riscontri positivi nella Nurra.
SASSARI. Chi non ha dubbi sull’investimento è il gruppo d’imprenditori agricoli che nell’isola ha scelto di puntare sulle biomasse per rilanciare le proprie aziende. Impianti piccoli, sotto il megawatt. È il caso, nel nordovest sardo, di Angelino Olmeo. «Ho avviato le pratiche nel 2009 e per 2 anni abbiamo navigato nel buio della burocrazia – spiega – Poi, nello scorso luglio, siamo partiti col biodigeritore: non brucia ma usa la fermentazione aerobica, senza creare né odori né inquinamento». «Noi utilizziamo sottoprodotti di scarto del granturco e di altro, quindi vendiamo all’Enel – prosegue Olmeo – Non abbiamo avuto incentivi sulla costruzione, adesso li avremo sulla cessione energetica. È stato un intervento di svariati milioni in un terreno di 130 ettari che credo si possano recuperare in 5-7 anni, forse anche meno». Analogamente convinto dell’opzione biomasse il vicesindaco di Sassari, Gavino Zirattu, proprietario con la famiglia e un amico di un’azienda nella Nurra. «Ci siamo associati a un gruppo padovano che ha messo a disposizione risorse e sistemi di conoscenza – chiarisce – I vantaggi mi sembrano indubbi. È un’esperienza nuovissima, moderna. Salvaguarda l’ambiente puntando sulle rinnovabili. E consente allo stesso tempo di usare le deiezioni delle pecore e il trinciato di mais come materia prima, in pratica senza fine». «A concludere il ciclo in maniera virtuosa c’è poi il fatto che una parte delle sostanze trattate nell’impianto produce concime da rimpiegare in azienda con abbattimento del ricorso a prodotti chimici», afferma infine Zirattu.
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L’ESPERTO. «Progetti insostenibili: materie prime insufficienti».
SASSARI «Pochi anni fa avevo fatto uno studio sulla sostenibilità degli impianti a biomasse per la Sardegna: ero arrivato a calcolare un massimo di 30 megawatt possibili, ora vedo che se ne ipotizzano 15 volte tanti: mi sembra davvero un’enormità, una situazione che l’isola non può permettersi di tollerare». Nell’affrontare la questione l’ingegner Fernando Codonesu non ricorre a giri di parole. È uno dei maggiori esperti di rinnovabili su scala regionale. E se adesso da nuovo sindaco di Villaputzu osserva le cose anche nell’ottica dell’amministratore, di sicuro non ha perso l’abitudine di esaminare ogni questione sul piano della fattibilità tecnica e dei risvolti connessi alla tutela dell’ambiente. «Il principio da salvaguardare infatti è uno solo: vento, sole e derivati come le biomasse devono produrre energia destinata a restare nella nostra terra – dice – Oggi invece siamo di fronte a una giungla, a un grande pasticcio. Dove, come nell’eolico, speculatori e accaparratori mirano soprattutto agli incentivi pubblici. E dove non si parla di sostituire parte dell’energia tradizionale con le fonti alternative ma di aggiungere alle une le altre». «Ma a che serve? Noi siamo già autonomi sul piano energetico – incalza lo specialista – Eppure, anziché farci pagare le mancate emissione di anidride carbonica in atmosfera, rischiamo di trovarci in una spirale perversa, doppiamente truffaldina». «Il perché è presto detto: la Sardegna non ha sufficienti materie prime per alimentare tante centrali a biomasse così potenti come quelle ipotizzate – sostiene l’ingegnere – Il pericolo è allora che un domani qualcuno pensi di realizzare in partenza stabilimenti ibridi per smaltire di tutto: dalle scorie vegetali all’immondizia. In questo quadro si aprirebbe la strada a una moltitudine di termovalorizzatori o inceneritori diffusi sul territorio». «Sì, perché in assenza di materie prime naturali si passerebbe molto rapidamente a impiegare nel ciclo i rifiuti, con conseguenze disastrose sul versante ambientale per la diossina e le altre sostanze nocive che si libererebbero nell’aria», afferma Fernando Codonesu.
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Il sistema. Processi naturali con luci e ombre.
Se è vero che ci sono biomasse e biomasse, in effetti si considerano sempre tali le sostanze di matrice organica – vegetale o animale – destinate alla produzione di energia. E tutte rientrano perciò a pieno titolo tra le fonti rinnovabili, che si contrappongono alle tradizionali, come il carbone . Tra luci e ombre circa i processi avviati per arrivare al risultato finale di generare energia,le biomasse possono tuttavia distinguersi in biocombustibili, frazioni biogeniche, bioliquidi e solide (come i residui delle lavorazioni agricole e tutti i prodotti organici derivati dall’attività biologica degli animali).
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Conto termico. Nell’ultimo decreto altre agevolazioni.
Nel decreto interministeriale di pochi giorni fa sulle energie alternative, circa il comparto agricolo si prevede il finanziamento d’interventi per aumentare l’efficienza termica attraverso fonti rinnovabili da biomasse. Si fissano così incentivi per la sostituzione di vecchi impianti di riscaldamento di potenza fino a 500 kw, alimentati in prevalenza a carbone o gasolio, con stufe, termo-camini o caldaie a biomasse. Introdotte poi opzioni come l’ innalzamento del limite da 500 a 1.000 kw , l’installazione d’impianti nuovi in fabbricati rurali, la sostituzione del Gpl, a patto che le biomasse abbiano emissioni ridotte rispetto ai massimi previsti.
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LE CIFRE.
10 I GRANDI IMPIANTI A BIOMASSE ATTIVI NELL’ISOLA, PER 80 MEGAWATT. 12 QUELLI IN ISTRUTTORIA, PER 250 MW. 22 I MEGA-IMPIANTI FINALI. COI PICCOLI PRODURRANNO UN TOTALE DI 444 MW.